Cari balneari, vi preferivo bagnini

L’accusa: avete sciupato il patrimonio che ora volete difendere

Cari balneari, vi preferivo bagnini

Non basta l’ombrellone con la sdraio per reclamizzare nel mondo la tipicità della Versilia.

Quando c’erano i bagnini non era ancora nata la categoria dei balneari, ossia quella che oggi issa funebri bandiere nere e fa tanto casino costringendo l’affezionata clientela ad un tuffo indigesto contro l’odiata legge Bolkestein.

Un forestierismo che già in sé porta sfiga, con quella consonante finale denotativa di un’Europa nordica, fredda, lontana dalla luce ventilata del Tirreno.

Trent’anni fa, quando sono approdata in Versilia da un paese immerso nella campagna emiliana, Noceto, ora gemellato con Forte dei Marmi, ho conosciuto la prima tipologia: quella dei bagnini.

Le più solari amicizie le ho fatte al bagno Impero.

Riporto il nome perché quello che più colpisce il turista quando arriva sul viale a mare è il nome dei Bagni…”Impero”, chissà perché.

Vi si accedeva senza ostacoli di sbarre e recinzioni, tra panni stesi ad asciugare e filari di pomodori tra i quali ogni mattina si affacciava il volto sorridente della signora Aliboni e, di tanto in tanto, quello del marito, maestro d’ascia, sempre affaccendato nella rimessa abitazione confinante.

Le casette dei bagnini erano poco più grandi delle cabine dello stesso colore, tutte in legno.

La sera la trascorrevano a veglia con i vicini e poi la notte nelle loro case in paese.

Non mi sentivo una cliente e così gli altri frequentatori del Bagno.

Eravamo una famiglia suddivisa in tante tribù: quelle locali, tra cui spiccava Gino Giannini, il padre di Sirio, lo scrittore, e quelle forestiere dei milanesi, fiorentini, emiliani, ebrei.

Il tempo trascorreva come in un acquario di giorni identici.

I grandi mattini dei bimbi tra i tuffi, il gioco della palla, le corse.

I pomeriggi dell’abbandono sulla sabbia sottile e delle infinite pose dei ragazzi.

I tramonti con le rituali scene da operetta degli adulti, accompagnate da battute tipicamente versiliesi.

Nessuno ci faceva fretta e così godevamo la luce del mare mentre distendeva il tempo oltre i confini del giorno.

Poi, a poco a poco, questa umana corrente di simpatia si è affievolita, se diamo ascolto alle lamentele dei turisti, apparse su questo giornale ultimamente.

Le casette di legno dipinte sono diventate costruzioni in muratura.

I bagni rinchiusi tra brutte recinzioni e sgradevoli coperture per le auto.

Un guazzabuglio del “Fai da te” che mette tristezza se osservata dal viale a mare, già stracolmo di veicoli in estate.

I bagnini sono diventati una categoria: quella dei balneari.

I quali giustamente stanno rivendicando diritti patrimoniali in difesa della loro “tipicità” contro la famigerata Bolkestein che, temo, finirà per completare l’opera di distruzione di una tipicità che ormai si è perduta: quella di sapore di sale.

Cari bagnini, in nome di quella simpatia con la quale avete conquistato la mia generazione e quella di mio figlio, permettete di esprimere un piccolo sogno politico colorato. Sostituite a quegli orribili cancelli semplici sbarre di legno.

Fate sparire le coperture metalliche.

Fate ricrescere, una volta divelte quelle siepi di pascoliana memoria, la macchia mediterranea di tamerici, ginepro, lentisco, erica.

Rimuovete l’eccesso dalle vostre costruzioni.

Restituite ai turisti affamati di bellezze quel senso di proprietà comune che la sabbia e il mare hanno trasmesso da secoli.

Il mare, nella sua stessa infinità, è bellezza e non tollera prepotenti attenzioni in nome di una proprietà che lo limita e lo mortifica.

di Velella Bisi

fonte: http://iltirreno.gelocal.it

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